Luigi Auriemma






Bibliografia essenziale

 Gabriele Perretta, Segnali da Napoli, in "Flash Art" n. 158 , Milano 1990.
     Jonathan Turner, A return to the cool and calculated, in “ARTnews”n.9, New York 1990
 Cecilia Casorati, Luigi Auriemma, Opera morta, catalogo mostra galleria Piano Nobile, Perugia 1991.
 Ada Lombardi, Auriemma, Krone, Lombardi, catalogo mostra "Trilogia n. 7", Ed. Essegi, Ravenna 1991.
     Franco Mollica, Il gioco delle parti, in "Tema Celeste", n. 39, Siracusa 1993.
 Teresa Macrì, Luigi Auriemma, in "Titolo", n. 15,Perugia 1994
     Luca Beatrice, Avventure nella forma, in “Nuova Scena”, G. Mondadori, Milano 1995
     Simona Barucco,in Calligrafie, catalogo della mostra,Capua 1995.
 Massimo Sgroi, Luigi Auriemma,in "Flash Art", n. 196, Milano 1996.
 Franco Mollica, Luigi Auriemma, in "Tema Celeste" n. 57,Siracusa 1996.
     Franco Mollica, Oltre la soglia estatica, in "Opening" n. 29, Roma 1996
     Emidio De Albentiis, Sepeithos, libro d’artista, Napoli 1996
     Ada Lombardi, Italian contemporary prints, catalogo della mostra al Museum of  fine arts, kaohsiung, Taiwan 1996
     Ludovico Pratesi, All’ombra del Vesuvio,catalogo della mostra alla Temple Gallery, Roma 1996
 Lorella Scacco, Luigi Auriemma, in “Segno” n. 155, Pescara,1997
 Ada Lombardi, Luigi Auriemma, in “Next”n. 39, Roma,1997
     L. Dematteis-G. Maffei, Libri d’artista in Italia 1960-1998.Edizione Regione Piemonte, Torino 1998
     Vera Vita Gioia, Leonarda – presentazione – Napoli 1998
     Arcangelo Izzo, Cartolina per Napoli, Ed. ArtexArte, Napoli 2000
     Francesco Cipriano, Libro d’artista,catalogo della mostra, Napoli 2000
     Brunella  Longo, Centouno ritratti. Ed. Gli ori, Prato 2003
 Luigi Auriemma è fondatore e coordinatore della rivista d' arte "LEONARDA".
 Luigi Auriemma, Preghiera per l' artista, in "LEONARDA", n.0, Aprile 1997 , Napoli 1997.





LUIGI AURIEMMA. Nato a Napoli nel 1961. Sin dal diploma all'Accademia opera a Napoli. La variazione segnica, che Auriemma interpone nell'esercizio di composizione di una struttura, crea attese e pronostici. Essa si serve di un piano illimitato e di scalature aggettanti di vetri che si combinano in una sequenza aperta. Auriemma contìnua a lavorare su figure anche quando compone delle antinomie. Per dimostrare ciò in tutti i casi possibili, il suo lavoro è concepito per articolarsi nello spazio, per fare dello spazio una speranza indotta a meditare sul comportamento e l'esperienza. In sostanza Auriemma tenta di spogliare l'esistente dalle sovrastrutture e dalle in essenzialità, che ogni giorno ci impongono di prendere le misure della vita, per concentrare l'attenzione su strumenti e calcoli trigonometrici immaginari. L'incontro di queste tracce, che mirano alla rigenerazione di un'Età dell'Oro dell'arte, si compongono come in vasi comunicanti, facendone la cifra più compiuta di vita. Nel 1988 ha tenuto una personale allo Studio Triagono di Nola e nel 1989 ha partecipato alla collettiva allo Studio Archimass dal titolo Opus. Alla fine del 1989 ha inoltre fatto parte della collettiva all'Arco di Rab (Roma) curata da Cecilia Casorati, dove ha presentato due lavori di grande formato.

GABRIELE PERRETTA


Flash Art – n° 158 – ottobre - 1990

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Il lavoro che il giovane artista napoletano, alla sua prima personale a Roma, ha progettato per lo spazio della galleria sembra articolarsi all'insegna di una realtà contrastata, in cui l'Antinomia è la base di una chiave di lettura. Luce-ombra, bianco-nero, orizzontale-verticale. esistenza-non esistenza sono infatti soltanto alcune delle polarità presenti nel suo lavoro come nei suoi scritti. L'allestimento per questa mostra propone l'incamminamento di una banda orizzontale in nero opaco, che si snoda lungo le scale, interrotta a tratti da lastre di vetro verticali e tondini di ferro fuoriuscenti dal muro, disposti in coppie e rigorosamente distanziati secondo una misura regolare.
A questo percorso all'insegna del "pieno", della presenza, fa da specchio, la "mancanza", il vuoto evidenziato (nei tre lavori esposti nella sala della galleria) dalla trasparenza ripetitiva ed ossessiva delle dieci lastre di vetro disposte sulle pareti bianche e dalle cornici vuote, l'una al centro della scansione verticale dei vetri, l'altra, metaforica, costituita da una corda di nylon nero, che posta al centro della stanza delimita come una cornice una porzione di spazio tra il pavimento e il soffitto. La trasparenza del vetro, infatti, come il vuoto della cornice, permette di percepire la simultaneità dei contrari. l'avanti e il dietro, il sopra e il sotto creando per l'opera quello "spazio vuoto", mentale ed ideale che. come scrive l'artista "è un'ottima fonte a cui attingere per il nostro comunicare".

Giuditta Villa               

Flash Art – n°160 – febbraio 91


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Dichiarazione di morte presunta


Oggi non fa più scandalo la modesta proposta, di alcuni anni fa, di Argan sulla morte dell'arte. Non fa nemmeno scandalo che quell'affermazione — eco corretta della prima voce hegeliana — sia stata comunemente fraintesa e avversata finanche con sindacale argomentum ad misericordiam. Piccoli equivoci, se si pensa alle lotte violente causate dalla presenza o meno di una iota (omousia e omoiusia; finita anch'essa, chissà perché, nel vocabolario della lingua italia­na).
Eppure, quel fraintendimento spostando la disputa su un più immediato e populistico "essere o non più essere" dell'arte ha parzialmente cancellato l'autentico problema, il quale, invece, con utile — una volta tanto — anacronismo potremmo far rimbalzare fino al consiglio di Nicea. La questione concettuale — e non potrebbe essere altrimenti — è se l'opera d'arte contemporanea può morire.
Una volta scommesso su questa possibilità, certamente estrema e risolutiva, non resta che decidere se questa morte è simile o identica nella sostanza.
Un altro equivoco contemporaneo consiste nell'individuare nella deperibilità dei materiali, adoperati dagli artisti, la prova provata dell'identità di sostanza e di somiglianza dell'opera con la morte. Tale sbrigativa argomentazione è apparentemente risolutoria, sillogistica: gli artisti adoperano materiali e sostanze che moriranno presto, dunque le loro opere, sostanzialmente, moriranno.
In realtà (a parte la quasi insignificanza dei materiali al cospetto dell'opera), il problema non riguarda le sostanze ma la loro identità o somiglianza rispetto alla sostanza stessa e alla morte. Difatti, anche il più accanito vegetariano riconoscerebbe che il fatto di mangiare carne (morta) non è certo la causa della nostra morte.
Quello che si dovrebbe accertare, naturalmente con perizia, è se il cadavere dell'opera è sostanzialmente l'opera, oppure, semplicemente e informaticamente, gli somiglia (in quest'ultimo caso si libererebbe l'opera da un gran peso... quello della propria consistenza).
L'aver messo tra parentesi la seconda eventualità suggerisce, anche al lettore più distratto, che ciò che ora ci interessa è l'identità; il pensare la stessa sostanza. Ed è ciò che interessa Luigi Auriemma quando fa e scrive di "opera morta". Secondo l'artista "l'opera morta nasce dai limiti dell'opera stessa (...). L'opera non è mai compiuta, ci lascia nell'incompiuto, nel cui spazio moriamo. Quel che ci rimane è solo la sua parte bianca e non si tratta di utilizzarla, ma solo di tollerarla. Lì dobbiamo installarci".
L'influenza delle parole e dei silenzi di Edmond Jabès è evidente ma non si tratta di omousia.
Ciò che afferma Jabès attraverso i suoi libri straordinari è che, in sostanza, non bisognerebbe scrivere; bisognerebbe solo ascoltare il principio bianco del libro.
Auriemma, invece, si appropria dei paradossi (ma forse sarebbe meglio chia­marli ortodossi) dello scrittore francese per segnare un limite, un luogo. Quel luogo estremo (e di confine) in cui l'opera incontra se stessa e l'altro. Incontro che noi non possiamo raccontare ma solo vedere nel cadavere dell'altro mentre all'opera è concesso di sperimentare su se stessa e di mostrarlo. L'"opera morta", per un puro e imparziale osservatore, è una diversa prospettiva.
In questa mostra, l'artista mette in atto una disposizione spaziale adeguando, alla lettera, misurazione e strumento. In altre parole, i confini, le divisioni sono segnate da ciò che abitualmente è "utile" a farlo. Cornici, vetro, moduli, e cor­da tesa — gli strumenti — non misurano ma si commisurano nella par(e)te bianca. Una prospettiva sostanziale, e non illusoria dunque).
Per coloro che Montaigne definiva "persone fini" e che non rappresentano mai le pure cose, ma le piegano e mascherano secondo il volto che vi hanno veduto, invece, è una diversa disposizione concettuale. Una disposizione che tiene conto di quei piccoli cambiamenti dovuti all'arte "d'avanguardia" e che spesso ven­gono disattesi per pigrizia, disattenzione o ritorno all'ordine. Uno di questi, affermava che l'opera poteva (come l'anima) uscir fuori da se stessa per poter meglio comprendersi e legittimarsi.

Cecilia Casorati

Testo in catalogo “Opera morta”-ottobre 91

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Per il giovane artista napoletano questa è la prima personale a Roma (tuttavia, sempre nella stessa galleria aveva partecipato lo scorso anno ad una collettiva).
Se ci si dovesse limitare o concentrare su di una sola parola per descrivere il lavoro di Auriemma, questa senz'altro sarebbe "precisione". Pur senza esibire sfrontatamente tutti i calcoli, tutti i "meccanismi" preparatori (come dovrebbe, in effetti, essere costume dei veri artisti), la prima sensazione che offrono le sue opere è appunto quella di cura meticolosa, di precisione appunto.
Precisione — in senso lato naturalmente — nell'accostamento dei materiali (vetro e ferro) ma anche e soprattutto nel progetto e nella costruzione. Tutto questo "calcolo" si riflette positi­vamente anche nell'intero allestimento della mostra, nella disposizione e nel "dialogo" delle opere. In questo caso le forme geometriche elementari la fanno da padrone.
Eppure in tale precisa semplicità, in questa misurata pluricomposizione nulla si offre al preordinato, al circuito prestampato.
I meccanismi di precisione di Auriemma sfidano la stessa ordinata razionalità che li ha progettati, cosi come sfidano lo spettatore a passare attraverso la grande porta stilizzata (posta al centro della sala centrale della galleria) senza temere un probabile ma in realtà inesistente grande vetro divisorio.

CECILIA CASORATI

Titolo – n °3 – inverno 90/91

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NELLA POETICA DELL'ASSENZA, LUIGI AURIEMMA

Gli ultimi lavori di Auriemma sono di grande interesse sia da un punto di vista di proprio percorso, in quanto le opere accolgono degli spunti e delle soluzioni inusitate, sia da un lato teorico ovvero di approfondimento di alcuni temi propri della poetica dell'artista.
L'artista evolve il suo discorso sul tema dell'assenza isolando in particolare alcune soluzioni come gli affastellati di cornici e delle porzioni di vetro. Il vetro continua a esercitare un'influenza determinante in questo scorcio di anni ed ancora s'impone come materiale ambiguo, neutro, o non-materiale. Questi attributi essenziali in un discorso di immaterialità e di dimensione spaziale impongono un tipo di riflessione fondamentale: l'artista, in un momento in cui il materiale si dispone come testimone di un valore perduto, ne sottolinea le possibili implicazioni etiche.
Questa postazione è in realtà molto importante perché indica l'appartenenza dell'artista ad una ristretta ma eletta cerchia di artisti che proprio in questo periodo si sta evidenziando e affermando. Una cerchia di ricercatori, di "avventurieri" o di neofiti che in un mondo privato di una scala di valori, finanche quelli estetici dell'arte, sta ricercando e battendo una nuova strada, non un "nuovo" valore, che comprenderebbe un passo indietro verso il dopoguerra e negli anni '60, ma un sostituto alla pulsione verso la ricerca del valore. Questo punto mi sembra molto importante e comporta un "segnare il passo" nell'attenzione, un dovuto sguardo rispettoso verso l'opera in questione.
La cosa straordinaria è che questi artisti, tra cui Auriemma, sono estremamente diversi dal tipo o modello che in qualche modo si è diffuso in questi anni. Negli anni '60 avevamo un modello a metà tra il dandy e "il selvaggio" o il beatnik, negli anni '70 l'intellettuale ribelle e impegnato, negli anni '80 l'edonista, il manager, forse negli anni '90 possiamo assistere alla fine dei modelli, visto che i valori appaio­no distrutti e scompaiono quindi anche i loro "ripetitori", e all'apparizione della cosiddette perso­ne "normali", non nel senso piccolo-borghese così come ci siamo abituati ad intendere, ma normali nella loro espressione della propria e schietta personalità ed Auriemma è senz'altro tra questi.
A quanto sembra possiamo passare allo stabilizzarsi della per­sona moderna, all'accettazione dell'imporsi della propria personalità come unicum, come mondo a sé come già la scienza e la filosofia hanno suggerito e come tende a proiettarsi l'arte stessa, non in ritardo sui tempi sia ben chiaro, ma correggendo il tiro delle altre scienze su un campo di destabilizzazione totale e di "accettazione ed elaborazione di risposte date al momento". Stranamente sembriamo entrare in un'era che darebbe ragione alle vie orientali, allo Zen, al Buddismo dove non esistono centri o punti fermi e l'uomo corrisponde a se stesso come all'assenza di forma.
Auriemma fa un lavoro tipicamente incentrato nelle problematiche formali, è proprio lì il cuore del suo discorso, la ricerca della forma e la sua negazione. Questa doppia essenza porta sia alla affermazione della personalità come alla cancellazione, alla passività che accondiscende lo spazio, come ad esempio nelle cornici bianche che scompaiono e diventano "muro", o alle superfici di vetro, disposte tra una cornice e l'altra, che annullano la propria consistenza materiale grazie alla prevalenza prevaricante del precedente elemento. Cosi l'artista compone le sue opere pensandole quasi esclusivamente in relazione allo spazio. I materiali che usa rappresentano gli elementi strutturali del quadro, quasi una citazione dello stesso che comunque si allontana dalla tautologia di paoliniana memoria, ma immette in più la scansione della forma nello spazio, i valori della superficie e del ritmo, valori che appartengono alle poetiche dell'astrattismo e che in questo caso vengono espresse al di là della superficie dell'opera dilagando nello spazio.
I materiali appartengono a quella categoria del "freddo" espressa e indicata nel corso di questo ventennio o trentennio.
I colori si ubicano nel ristretto spazio del bianco e nero allontanati o avvicinati da una serie di trasparenze, che vanno dalla superficie chiara del vetro alla condensazione estrema che arriva al nero quando il valore del trasparente è accostato al materiale neutralizzato da una vernice nera. Infatti esiste un'accortezza nell'uso dei materiali che pone un certo processo di "neutralizzazione".
Se, come in questo caso, il valore principale è quello della forma, qualsiasi valenza forte espressa dai materiali (come ad esempio il ferro e il legno) s'interpone e fa pesare il proprio valore storico e la propria energia.
L'artista quindi dipinge le sue cornici di legno, le sue corde con una stessa vernice opaca, al punto che non si capisce più l'ubicazione e il peso del materiale, che si trasforma in segno e forma. La stessa cosa accade con il vetro, con una sostanziale differenza di processo.
I segni minimali che vengono posti sui vetri sono eseguiti con la stessa vernice che è come se incastrasse a forza un materiale ambiguo all'interno della purezza del cristallo.
Sembra infatti avere a che fare con un tipo di encausto o un antico lavoro di oreficeria orientale, che sottolinea ancora di più l'ambiguità.
Il vetro, come si è detto, viene utilizzato per le sue caratteristiche ambigue, ovvero le caratteristiche di assenza e presenza, di rispecchiamento e di valore negativo, e in questo senso entriamo nel merito della poetica e del contenuto.
L'assenza è una metafisica presenza dell'opera dell'artista, che offre l'orecchio e la propria atten­zione a un esoterismo orientale di matrice taoista-tibetana. Questo affermarsi per negazione sembra quasi ubicarsi nell'universo del Prajna, della mente illuminata fatta di assenza e di presenza di tutte le cose, di passività illuminata dove l'azione viene quasi costituita e suggerita dallo spazio e dalla forma e presenta delle qualità di ineluttabilità.
Dove i segni rappresentati sono il simbolo grafico della continuità ineluttabile della vita, della morte e del dramma nello scorrere di un'antica accettazione senza pathos, che trascende quindi la catarsi e arriva alla coscienza sublime di un intelletto cosmico che supera in drammaticità ed in pathos la mera sensazione fisica di quest'ultima diventando e sublimandosi in coscienza intellettuale.

ADA LOMBARDI

Titolo – n°7 – inverno91/92


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Avviso di lettura o meglio Tema affidato all'altrui capacità di interpretare o indovinare è il titolo di una operazione testuale di Luigi Auriemma che intende porre l'attenzione sulla comunicazione interattiva. Opera dunque in cui la significazione e la risignificazione dei testi vengono affidate alla lettura dell'interlocutore. Avviso di lettura è in effetti una invenzione linguistica: il testo di partenza (Camaleonti, scritto dall'artista) viene "decostruito" nella sua originarietà e riattraversato, reinventato e risemantizzato pur mantenendo le medesime caratteristiche grammaticali. La comunicazione diventa allora un viaggio sul senso o meglio sul polisenso che la stessa quantità di parole ed espressioni grammaticali utilizzate in costruzioni diverse può rifondare. L'opera di Auriemma è una traccia sulla possibilità logica, è un tranello semantico che affonda la sua origine sulla differenza semiologica: si­gnificato e significante si incontrano, si moltiplicano e danno luogo e forma a una produzione contestuale molteplice. Quattro libri del medesimo formato, ma di colore diverso, nelle pagine di ciascuno dei quali lo stesso numero di parole da luogo ad un contesto diverso. Testo che si camaleontizza, che rappresenta se stesso nella sua multimorfia e nella sua negazione: l'operazione complessa è sulla complessità del pensiero.
Il Tema affidato alla altrui capacità di interpretare o di indovinare era il dato dialogico della precedente mostra romana di Pino Casagrande. Il lavoro minimalissimo, strutturato in sculture a muro e realizzato con materiali poverissimi (vetro, corda, cornici di legno) dava adito ad una serie di ambivalenze critiche. Lo spazio costruito da Auriemma infatti interagiva con la capacità percettiva e creativa del fruitore. Era questo, infatti, a inventarne la sua dimensione "abitativa", a trame una significazione spaziale, a svuotarlo dalle sue ambiguità simboliche e decifrarne una interpretazione logica. Il fruitore è dunque stimolato, sollecitato, attirato nella rete di una dinamica dialettica con l'opera attraverso una comunicazione di volta in volta differenziata.

TERESA MACRÌ

Titolo – n°15 – primavera 94


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Esiste un'immagine ed esiste la sottrazione di essa. Attraverso gli spazi vuoti, o apparente­mente tali, si ricostruisce una sagoma, una figura che è proie­zione della mente. Con essa è possibile giocare, interagire o farci tante altre cose perché, per sua natura, l'immagine stessa è un enigma che o ti tra­sporta in luoghi altri o ti lascia del tutto indifferente. Ciò che Luigi Auriemma presenta è un lavoro iniziato ormai da qual­che anno è che è legato stretta­mente all'interazione ermeneu­tica che lo spettatore ha con l'opera d'arte. La provocazione ad andare oltre, a vedere quello che di invisibile nasconde la concretezza del lavoro. Le for­me sono, allora, sipari che si aprono di squarci della mente come fossero passaggi dimen­sionali aperti dall'artista. I vetri non sono specchi ma, proprio per la loro trasparenza, permet­tono metaforicamente di guar­dare dall'altro lato. Il problema è che l'altro lato non esiste fuo­ri di noi, ma dentro ed allora tanto vale attraversare il ponte della consapevolezza. Due la­vori in vetro e legno, due gran­di sipari in tela in cui la forma che Auriemma propone è quel­la data dallo spazio vuoto, due tele e vetro ed, infine, due ope­re in marmo e vetro. Questa è tutta la mostra che, installata in una galleria di grandi dimen­sioni, da il senso di rarefazione punto importante del lavoro di Auriemma. A parte un libro leggibile da entrambi i lati che, da una parte dichiara il "tema affidato all'altrui capacità di interpretare o indovinare" e dall'altro riconduce ad una specie di enigma giocoso. In mezzo parole, pensieri che sci­volano via sfuggenti e che ri­mangono, ancora una volta, al­la soggettiva lettura delle per­sone.

Massimo Sgroi

Flash Art – n°196 – febbraio 96

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Luigi Auriemma privilegia da anni materiali di sobria semplicità come il legno, il vetro, il panno o la carta. Questi rappresentano, per l'artista, il versante fisico di quanto è prodotto dalla mente, sono il segno immediatamente tangibile delle elaborazioni formali e il limite, quasi in senso matematico, delle stesse. Sull'altro versante, quello dell'immaterialità, dell'intangibilità o di quanto sembra attenere a una sfera sospesa tra fisiologia della visione e movimento del pensiero, sta l'altra metà dell'opera, quella che giustifica il peso, la sostanza, il senso stesso della materia. Tale difficile equilibrio tra un concettualismo in costante dinamismo e la necessaria disposizione manuale e costruttiva trova una sintesi in questa mostra intitolata Irriflessioni. I grossi panni sospesi, dove si ritagliano forme perentorie, lasciano passare lo sguardo che va a cercare le altre forme di legno e di vetro disposte sul muro: si capisce così che l'opera è tutto, sta nei lavori ritmicamente scanditi ma anche nel nostro sguardo che li attraversa e pare sorprenderli da molteplici punti di vista. Come sempre in Auriemma, l'opera si situa in una sorta di terra di nessuno, è nel vortice della presenza e dell'assenza, dove può scindersi il rapporto tra immagine e cosa e può essere messa in crisi quella relazione mimetica, da doppio speculare, che l'immagine evoca. Nelle sue parole. L'"irriflessione è la capacità della trasparenza a non creare il doppio, mediante l'assorbimento dell'immagine. La trasparenza crea la scissione tra immagine e oggetto." L'opera dunque può vivere anche al di là di quel limite fisico che ne giustifica la presenza, può superare quel discrimine che alle volte pare troppo accertato tra visibilità e invisibilità; può compiersi quindi, nello stesso tempo, come prodotto creativo e come discorso intorno ad esso.

Franco Mollica

Tema celeste – n°57 – estate 96

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"Ritratti" e il titolo della mostra di Luigi Auriemma che si è recentemente tenuta alla Galleria Arco di Rab di Roma. Se principalmente le considerazioni teoretiche si articolano intorno al rapporto tra l'artista e il percepibile e all'opera d'arte come espressione del sopravanzamento tra vedente e visibile. Auriemma sposta  tutta la sua attenzione sull'opera d'arte considerandola un organismo vivente e vedente e in tale direzione avvia le sue azioni. Scrive l'artista: "Oggetto immagine dell'oggetto» assorbimento dell'oggetti» eliminazione dell'immagino restituzione dell'azione dell'assorbimento (contorno, sagoma)": quindi la realtà e la sua rappresentazione, l'assorbimento del reale e la conseguente eliminazione dell'immagine rappresentativa per lasciare emergere solo l'atto dell'assorbimento attraverso il contorno. I lavori di Auriemma si presentano così nella doppia valenza del termine "ritratti", ovvero come sagome di personaggi ritratti nel quadro a mezzo busto e come presenze che si sono ritirate, sottratte alla nostra visione. Afferma l'autore: "Le mie operazioni artistiche (ritenzioni dell'assenza) sono ipotesi di un pensiero senza immagini". L'assorbimento determina che gli oggetti, il reale, le immagini, cessano di essere gli elementi portanti dei sistemi rappresentativi per dare "origine ad un campo di energia - quello dell'opera-corpo - adimensionale ed aspaziale". Grazie alla trasparenza l'opera quindi assorbe. accoglie il mondo esterno ed abolisce l'apparenza, poiché essendo l'opera un corpo vivo, uno spazio di energia, non necessita per esistere di altri corpi, di testimoni. Dichiara l'artista che "E' l'opera che guarda, e quindi che vede. L'opera si proietta nel futuro e in questo modo assorbe il passato e il presente, dando origine alla proiezione del tempo nel tempo. Tale proiezione avviene in un campo di energie che le abituali coordinate visive e dimensionali non riescono a percepire, tanto da paventare una invisibilità dell'opera". L'opera, secondo Auriemma. deve essere autonoma, non necessita né dell'artista né del pubblico come testimoni, esiste un corpo e perciò non ha bisogno della visione per essere completata: in tal senso diviene invisibile. Nei recenti lavori presentati nella galleria romana lo slittamento temporale viene inoltre evidenziato, quasi con ironia, dalla non coincidenza tra le sagome storiche rappresentate e i nomi dei personaggi citati nella didascalia eliminando così una reale identificazione per 'viaggiare' nel corso del tempo. Un altro ribaltamento si ha a livello installativo: qui la linea d'orizzonte, eseguita con una corda tesa, è un cardine che separa e sposta nella parte bassa dell'opera, relegandola in una posizione spaesante per il godimento visivo del fruitore, mentre in quella alta viene collocata la didascalia rendendola così preminente rispetto al lavoro nell'esperienza percettiva dello spettatore. Auriemma ricorda poi l'importante ruolo della 'luce', che "crea l'immagine ma non ne possiede una", attraverso l'installazione nei lavori di un neon che si relaziona con i personaggi ritratti per 'illuminare' la loro immagine non visibile e anche per la loro 'professione', come ad esempio in "Philippe Lebon. Ingegnere. Inventore dell'illuminazione a gas. Ritratto". "Se l'opera non ha mai avuto l'uso degli occhi, è stata sempre osservata, sempre considerata osservabile, sempre rappresentata e rappresentabile", secondo le parole di Auriemma, ora con gli ultimi esiti della sua ricerca si può affermare che l'opera è tornata a guardare, non è più cieca.

Lorella Scacco



Segno – n°155 – maggio 97

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Sguardi al neon. Ritratti

E’ ancora in corso a Roma la personale di Luigi Auriemrna alla galleria Arco di Rab. La mostra conferma un rapporto ormai consolidato tra l'ambiente artistico napoletano e quello romano, il cui frutto è un vivace scambio di idee e di forme estetiche. Così appare nelle opere presentate da Auriemma che rivitalizzano al contempo sia la tendenza al recupero delle forme e dei modelli del passato, sia il rigore delle espressioni concettuali. Questa posizione sembra la postazione generale di tutto l'ambiente napoletano, dove al suo interno ogni singolo artista riesce a dare un'angolatura del tutto personale. Nino Longobardi, Gloria Pastore, Marisa Albanese ecc.; ognuno di loro infatti ritaglia la sua posizione individuale confermando l'andamento comune di cui si parlava. Senza tecnologismi o macchinismi che sulla scia di una storia culturale di appartenenza suonerebbero come una forzatura, più che altro utile a confermare un'identità di moda che un'autentico spirito di ricerca. Le opere presentate alla galleria appaiono come lo studio geometrico di un formato, quello cinquecentesco del ritratto a mezzo busto. I modelli in realtà diventano espressione formale, trattati come una forma astratta essi superano il significato discorsivo della tradizione figurativa. Infatti l'artista ritaglia il volto del personaggio e il vuoto diventa il reale protagonista. Come una sorta di macchina teatrale che mostra il meccanismo dell'artificio, e fa continuare lo spettacolo dietro le quinte, il volto-vuoto mostra il neon che illumina la copia fotografica, o meglio i contorni e quel che rimane dell'antico ritratto riposto nella teca di vetro che è l'oggetto nel suo complesso e che riprende l'abituale stile dell'artista. Oltre a mostrare un'interessante operazione linguistica e un forte risultato formale, le opere hanno un impatto percettivo di notevole coinvolgimento. Il neon, posizionato all'altezza degli occhi del personaggio, fa "sentire" la presenza e il peso della figura assente e rivela come, anche in passato, la forza dei ritratti era riposta tutta in un problema completamente astratto e cioè nella capacità di rendere la luce reale protagonista del dipinto, come è evidente ad esempio nei celebri ritratti di Antonello da Messina o in quelli di Leonardo.

Ada Lombardi

Next – n°39 – estate 97


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LEONARDA

Rivista d’Arte
Questo foglio d'artista propone come arte ciò che altrove arte non è ; un ready made
piccolo o quasi infinitesimale del mondo della cultura e del mondo senza cultura
nello spazio dell' arte. Poiché a questo spazio nulla manca, tranne la realtà stessa,
che non ha bisogno più di filtri e di artisti per farsi estetica. Poesia storia filosofìa
scienza, ridotte a miniature; un mosaico a carattere vario, la cui disomogeneità
corrisponde in qualche modo all' esigenza di essere arte.
Così l' artista può giocare un' improprietà di ruoli e può identificarsi in questa
improprietà delle scelte.
La vera bontà dell' arte consiste alle volte nel fare quello che non si sa fare o non si è
mai fatto prima: possibilmente dovrebbe essere una eterna prima volta.

LEONARDA        


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LEONARDA
Presentazione
Luigi Auriemma mi sembra essere lo spirito informatore di leonarda ed assieme a Paolo Berardinelli, Maurizio Elettrico,Ferdinando Mondillo, Francesco Scognamiglio, 9 mesi fa ha offerto a noi tutti questo saporito cartoncino nero.
la sagoma di leonarda e' fatta proprio da cinque ragazzi e non e' permeata di misoginia.
Ovvero leonarda era sobria nel primo volumetto ed e' distorta nel secondo, poi comincia a parlare e si anima e immaginiamo che un giorno bussi anche alla nostra porta.
Richiesta alla banda dei cinque quale sia la tendenza di leonarda o almeno il programma, un velo di assenza si e' dipinto rapidamente nei dieci occhi, non si sa.
Leonarda procede, ci si spinge verso le quattro emissioni annue con pausa estiva, ha ottenuto tutte le autorizzazioni, darà voce a aedi deliranti, ispirati, composti, propositivi, artisti, poeti, esperti, inesperti.
La commissione dei cinque si rianima, si sente forte e decisa di saper valutare e scegliere le migliori proposizioni.
Leonarda custodisce un bisbiglio dei cinque in seconda di
copertina ed e' l'unica sua concessione.
Poi ogni volta uno di loro si esporrà da solo.
Sempre sogni, sogni di una fortunata generazione che, avendo perso tutto o quasi, spicca un volo verso spazi finalmente purificati, oltre il buco dell'ozono, per poter finalmente respirare.
Vera Vita Gioia


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Recensioni
  Tri  angolo – M. Mirolla – Flash art – febbraio 1990
  Auriemma, Fiorito, Manzoni, Mondillo – C. Casorati – Titolo – autunno 1990
  A return to the cool and calculated – J. Turner – Art news – novembre 1990
  Nuova scena , artisti italiani anni ‘90 – L. Beatrice, S. Perrella, G. Curto – Mondatori – 1990
  Per una collezione – P. Campanelli – Titolo – primavera 1991
  Il mondo? Assente – L. Piciocchi – Opening – gennaio 1992
  Piano nobile – Egoista – aprile 1992
  Auriemma, Folci, Ratti, Varotsos – D. De Dominicis – Flash art – aprile 1992
  Trilogie – R. Gattiani – Titolo – primavera 1992 
  Il gioco delle parti – F. Mollica – Tema celeste – inverno 1993
  Luigi Auriemma – A. Manzoni – Eco – febbraio 1993
  Luigi Auriemma – Opening – marzo 1994
  Infiltra/azione – C. Casorati , B, Martusciello – 1994 (catalogo)
  Faxart – L. Pratesi , M. Catalani – 1995 (catalogo)
  Movie Movie , cinema e arte : percorsi – F. Mollica – 1995 (catalogo)
  Calligrafie – S. Barucco – 1995 (catalogo)
  All’ombra del Vesuvio – L. Pratesi – 1996 (catalogo)
  Sepeithos: pagine – E De Albentiis, F. Mollica – 1996 (catalogo)
  Italian contemporary prints – 1996 (catalogo)
  Scene – R. Notte – Flash art – novembre 1996
  Corto circuito – 1996 (catalogo)
  Oltre la soglia estatica – F. Mollica – Opening – autunno 1996
  Sogno di una notte di mezza estate – Change – 1997 – (catalogo)
  Change – Opening – autunno 1997
  “Corto circuito”a Napoli – M. Pacifico – Segno – gennaio 1998
  Libera navigazione – E. Battarra – Segno – gennaio 1998
  Annecchini, Auriemma, Breitenstein – Change – 1998 – (catalogo)
  Libro d’artista – febbraio 2000 (catalogo)
  Cartolina per Napoli – 2000 (catalogo + cd)
  Una luce per Sarno – marzo 2001 (catalogo)
"Lo dovevi fare anche tu!", videoarte a San Biagio Maggiore – ilRoma.net

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